giovedì 9 novembre 2006

Osvaldo Cammarota

Nell’occasione di confronto offerta da AeA Review sulla costruzione del Partito Democratico il dibattito si sposta, molto opportunamente, dal “perché” al “come”. Per ragionare meglio, è forse utile richiamare il “cosa” ha contribuito alla degenerazione della democrazia nel nostro paese, affinché tutti possano vigilare sul rischio di cambiamenti superficiali e inefficaci. Conosciamo già questi rischi, una pennellata di giovanilismo (quanto mai necessaria) e una montagna di buone intenzioni non servirebbero di per sé a produrre la profonda innovazione politico-culturale che il paese reclama da oltre un decennio.

Ripercorrendo le tappe evolutive (?) della cultura politica italiana, i meno giovani possono agevolmente ricordare le pratiche di “democrazia rappresentativa” che, seppure interpretata con il “manuale cancelli”, dava pur sempre voce e rappresentanza alle istanze di una società che ancora fondava i suoi caratteri nel conflitto capitale-lavoro.
Negli anni successivi abbiamo conosciuto la “democrazia consociativa”, la degenerazione di un’idea forte (il compromesso storico di Berlinguer) che non trovò le ragioni e il contesto adatto per una sua nobile evoluzione.
Successivamente siamo stati governati dal “decisionismo craxiano” che ha fortemente contribuito a ridurre il peso delle rappresentanze popolari a vantaggio di una cultura e una pratica politica fondata sulla contrattazione del potere.
Dopo una parentesi di “governi tecnici” della Banca d’Italia -che bene o male hanno evitato il peggio- abbiamo conosciuto il “leaderismo liberista” impersonato da Berlusconi. Ad esso la sinistra non è stata capace di opporre altro che modelli di “leaderismo dirigista” specularmene inefficaci e inadatti per governare democraticamente la società densa e complessa del nostro tempo.

È vero, oggi i leaderismi liberisti e dirigisti sono in crisi, ma qual è la cultura politica a cui si sono formate le classi dirigenti in questi anni? Sono convinto che questo è un pesante macigno sul percorso di costruzione di un Partito nuovo ed effettivamente Democratico.
Se osserviamo i comportamenti di persone a cui sono stati dati importanti ruoli politici e istituzionali (anche giovani, senza polemizzare né personalizzare), facciamo fatica a cogliere comportamenti innovativi. Non si possono negare gli sforzi, ma nemmeno si possono ignorare le malcelate reazioni di fastidio ad ogni tentativo di praticare cultura partecipativa nella formazione delle scelte politiche. Oggi è di moda l’ascolto del territorio e la pianificazione strategica, ma in quanti e quali luoghi si stanno coerentemente applicando queste nuove modalità?

Come cambiare, dunque, è strettamente connesso al cosa. Se l’ascolto continua ad essere svolto in maniera retorica, burocratica e inconcludente, se la gestione del potere si alimenta ancora del vizio di voler controllare le coscienze, se non si riuscirà a superare i limiti di cultura politica sedimentati negli ultimi trent’anni, … il Partito Democratico non sarà “nuovo”, sarà un ennesimo partito.

Nessun commento: