martedì 7 novembre 2006

Leonardo Impegno

Dopo un decennio di maturazione - si passa finalmente a discutere di come costituire il Partito Democratico.
A mio parere, bisogna discutere di questo alla luce di due fatti nuovi:
- una valutazione, che a questo punto può esser fatta, della prima fase del governo Prodi;
- l’evoluzione che sta maturando, a livello europeo, dove si comincia a discutere di un’aggregazione tra i democratici e i socialisti.

Primo punto: che cosa sta dimostrando il Governo Prodi? Di che cosa stiamo discutendo, e di che cosa sta discutendo il Paese, a 6 mesi dal varo del governo del centrosinistra, a parte, naturalmente, la demagogica inconcludenza della destra?
Stiamo discutendo dell’introduzione di elementi di innovazione e di riforma in un Paese che aveva rinunciato a correre. Certo, non indolori, e la discussione dell’estate sulle liberalizzazioni – a proposito, come si prosegue con il Decreto Bersani, dove il punto di vista è quello dei cittadini, consumatori, utenti? Subito dopo la Finanziaria, occorrerà aprire una stagione di riforme.
Si è dimostrato che non è né automatico né facile introdurre elementi di cambiamento in un sistema che, proprio nei mesi caldi, si è “dichiarato” incline alla chiusura corporativa e resistente all’apertura di nuovi scenari. Insomma, che il cambiamento necessario a far ripartire l’Italia è sostanzialmente lavoro di rinnovamento delle sue strutture portanti e, tra queste, innanzitutto la riforma elettorale attraverso un referendum che chiami gli italiani a “sbloccare” il sistema della rappresentanza oggi ad appannaggio dei partiti.
Se questo è il lavoro da fare, occorre che la politica se ne collochi all’altezza, dando concreta, immediata e compiuta realizzazione al progetto dell’Ulivo. Il Partito Democratico si deve collocare a questo snodo: un partito vero, a vocazione maggioritaria, che renda il centrosinistra capace di sostenere la sfida del bipolarismo, che riesce a scegliere, decidere, realizzare.
Per far questo, nella costruzione del PD non dobbiamo guardare ad una semplice somma dei protagonisti, pur importanti, quali sono i DS e la Margherita, ma recuperare la grande risorsa che per la democrazia di questo Paese sono state le primarie di Prodi. La somma di DS e Margherita non è un partito nuovo e, in quanto tale, non riuscirebbe ad intercettare quei giovani che non hanno una tradizione politica.
Questo anche per confutare un luogo comune: i giovani votano i partiti che esprimono posizioni radicali. Infatti, Rifondazione Comunista ha ottenuto minor consenso alla Camera rispetto al Senato dove era presente la lista Uniti per l’Ulivo.
Considero necessario che al nuovo partito non si aderisca solo “in quanto ex”. Alle primarie si è espressa una grande forza, una grande partecipazione di cittadini non iscritti ai partiti del centrosinistra e che aderirebbero solo ad un nuovo soggetto politico. Questa partecipazione esprime quella volontà di cambiamento e di evoluzione che è diventata ogni giorno più pressante e che si è manifestata alle Primarie. Non altro significa “una testa, un voto”: garantire la volontà di partecipazione che si è già espressa.
Secondo punto: in Europa matura una nuova possibilità, quella di vedere insieme i socialisti e i democratici nel Partito Socialista Europeo. Questo processo va sostenuto e aiutato innanzitutto sgomberando il campo da un equivoco: questo processo non serve ad agevolare la costituzione del PD in Italia, non è cioè una operazione strumentale a fini interni. Anzi, è la naturale evoluzione di un processo storico, quello che ha visto tramontate, alla fine del secolo scorso, le tradizionali culture politiche del ‘900.
Un processo che ha interessato l’Europa e anche noi, in Italia, dove l’idea di aggregare in un nuovo soggetto politico forte, il Partito Democratico, sensibilità, culture e storie diverse deve coniugarsi in una nuova soggettività politica riformista.
Leonardo Impegno
Presidente del Consiglio Comunale di Napoli

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