domenica 3 dicembre 2006

Antonio Lieto

La nuova politica
Slogan ad effetto, luoghi comuni, qualche citazione in latino o in inglese per darsi qualche tono (oggi va molto l’inglese) e un mare di bugie. Non si può non restare esterrefatti di fronte all’appiattimento del discorso politico al quale, ahimé, assistiamo quotidianamente. Il motivo di tale appiattimento è da ricercarsi sostanzialmente in due fattori scatenanti:
1) La presenza di una classe dirigente decisamente scadente rispetto a quella, seppur famigerata, della Prima Repubblica.
2) La logica bipolare dei media in base alla quale una cosa o è bianca o è nera. O sei fascista o comunista. O c’è il regime o la libertà. Aut Aut. Non esistono sfumature, non ci sono vie di mezzo. C’è il Bene e il Male, l’ Eroe e il Nemico giurato. Ipersemplificazione dunque.
Un altro elemento che trova espressione diretta nella nuova politica, è il sondaggio. “I sondaggi dicono che..”, “Stando agli ultimi sondaggi…”. Quante volte ci è capitato di sentire espressioni di questo tipo?
Oggi i sondaggi sono utilizzati per qualsiasi cosa: per sapere se la notorietà di questo o quel personaggio è più alta presso una certa fascia di età. Per sapere se alla gente piace ciò che Tizio o Caio hanno intenzione di dire. Per sapere se si vinceranno o si perderanno le elezioni e via dicendo. I sondaggi sono utilizzati come forma di autorità superpartes in grado di avallare una tesi (la propria) e di screditarne un’altra (quella dell’avversario politico). I discorsi sono “preparati” (è finita l’epoca dei discorsi a braccio) sulla base di quello che dicono i sondaggi, sulla base di “quello che la gente vuole sentirsi dire” piuttosto che sulla base di ciò che veramente si pensa. Ovviamente chi cita i sondaggi cita solo quelli a proprio favore, quelli che avallano le proprie tesi. Per cui assistiamo increduli a dibattiti in cui ogni esponente politico porta i suoi sondaggi, le sue “verità”, screditando i sondaggi e le “verità” degli altri.
Ma non è finita qui. La nuova politica non ha prodotto cambiamenti esclusivamente linguistici.
A farla da padrona oggi è l’immagine. L’aspetto visuale. Tutto deve essere sopra le righe. Gradevole all’occhio.
Pochi, infatti, ascoltano veramente ciò che dicono i politici ma tutti li guardano. Allora tutto deve essere spettacolo, il look deve essere studiato fin nei minimi dettagli: le scarpe, la camicia, la cravatta (che deve andare bene sul completo e intonarsi con la scenografia dello studio televisivo), il corpo del leader.
Eh si, anche il corpo del leader è importante nel nuovo show politico (almeno da J.F.Kennedy in poi). E allora ecco che “entrano in scena”, è proprio il caso di dirlo, i bellocci e le bellocce della politica.
Negli Stati Uniti uno dei principali criteri con cui si selezionano i candidati per le primarie è la telegenicità. Si privilegiano, in sostanza, i candidati che bucano il video.
Questa è la nuova politica.
Una politica in cui gli slogan prendono il posto del ragionamento. Basata sugli scambi di accuse personali tra leaders o pseudo leaders a confronto.
Una politica in cui prevale l’elemento emotivo e demagogico rispetto a quello critico e raziocinante.
Per carità, la presenza delle emozioni è fondamentale in politica. Ma basarsi esclusivamente su di esse potrebbe diventare pericoloso per il concetto stesso di democrazia.
Una domanda: non siete già stanchi di questa nuova politica?

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